venerdì 4 novembre 2011

TV, Sony e Panasonic in crisi sotto i colpi della Corea



La tivù è in crisi e questa volta non è colpa di YouTube ma di un'altra parola che inizia per Y, lo yen. La moneta giapponese è ai suoi record storici e il mercato più elettronico del mondo si trova in difficoltà, non riesce a esportare né a competere con gli altri produttori asiatici tanto che nel giro di una settimana Panasonic e Sony hanno annunciato di voler ridimensionare il loro impegno nel settore. 

I rivali taiwanesi e sud coreani infatti hanno costi di produzione inferiori, una moneta che aiuta le esportazioni e si sono accorti già da tempo che il mercato è cambiato: non siamo più negli anni '80 quando avere un Sony nel salone era segno di distinzione, un elemento d'arredo indispensabile per lo yuppie rampante. Oggi l'economia si restringe a livello globale e i consumatori guardano più alla sostanza che al marchio. Se possono avere un prodotto equivalente o dalle prestazioni appena inferiori per un prezzo molto più basso è facile che si indirizzino verso quest'ultimo. 

C'è poi il fattore tempo. Gli schermi piatti ormai hanno più di dieci anni, si è capito come produrli a basso costo e senza nuove innovazioni che sconvolgano il mercato, i produttori non giapponesi sono destinati a tenere le redini del mercato mondiale per qualche anno. 

Da ultimo c'è un fiorire di nuovi produttori. I confini tra monitor e televisori si stanno facendo sempre più labili e allo stesso tempo i televisori montano accessori prima riservati ai computer come la connessione a banda larga, il wi-fi, i lettori di schede di memoria e penne usb, gli hard disk. Tutti elementi che hanno portato i produttori di computer a tentare una scalata ai colossi che fino a pochi anni prima si pensavano inattaccabili. E hanno vinto. 

Caso esemplare sono le coreane Samsung e LG che oggi sono in grado di competere con i giapponesi proprio sul terreno dove questi ultimi vincevano sempre: la qualità. Fino agli anni '90 il ciclo dei prodotti tecnologici era semplice: il Sol Levante produceva prodotti innovativi, di alta qualità e dal prezzo proibitivo che dopo due-tre anni altri paesi asiatici copiavano offrendo prezzi più bassi e minore qualità fino alla saturazione del mercato. Ma a quel punto i giapponesi avevano pronta una nuova tecnologia e la ruota ripeteva il suo ciclo come accaduto fino a pochi anni fa. 

Secondo gli analisti poi, Panasonic e Sony non sono state in grado di capire il mercato: nonostante i numerosi avvertimenti hanno effettuato investimenti enormi in un comparto dove non erano competitive e oggi, con lo yen alle stelle, sono costrette a pagare debiti altissimi per un'attività che non fa utili. Le perdite dovrebbero ammontare intorno a 420 miliardi di yen – 3.8 miliardi di euro – per la prima e 90 miliardi di yen - 835 milioni di euro – per Sony.

Ma anche gli altri produttori del Sol Levante non ridono di certo: Hitachi sta pensando di delocalizzare la produzione all'estero, mentre Sharp, leader di vendite di LCD in Giappone, sta pensando di produrre schermi per smartphone e tablet. 

Per gli esperti l'ultima speranza per i giapponesi rimane distinguersi per innovazione e design, come ha fatto la Apple. Ma nell'attesa di uno Steve Jobs con gli occhi a mandorla il mercato continua ad affondare.

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